Stamattina mi sono alzato con queste idee in testa e devo buttarle giù a mo' di sfogo. Sento qua e là persone che dicono: «Mio». Ecco, penso che vada bene per il formaggino MIO (buonissimo, tra l'altro) ma non per i nostri simili, e ne spiego il perché. «Mio figlio», «Mio marito», «Mia moglie», «Mio amico». Sì, ma sono davvero tuoi? Questo senso di possesso, come se avessimo il diritto di proprietà sulle persone è davvero ridicolo. Noi siamo solo proprietà di Dio, perché lui ci ha creati. Siamo qui sulla Terra come fratelli (o almeno dovremmo esserlo) e recitiamo delle parti come a teatro: chi fa il genitore, chi fa il figlio, chi il marito, chi la moglie. Ma siamo tutti fratelli, figli dell'unico Padre celeste. Siamo persone, non oggetti.
Certo, una mamma può provare un amore profondo per il proprio figlio, così come un marito o una moglie per il proprio coniuge, ma nessuno è proprietà di nessuno. Se tutti ci sforzassimo di adottare questa ottica invece di vedere le persone come oggetti da sfruttare o da usare a mo' di trastullo, il mondo migliorerebbe. Tuo figlio? Sì, ma anzitutto tuo amico. Tua moglie, tuo marito? Sì, ma anzitutto tua amica o tuo amico. Amare non significa possedere: amare significa dare incondizionatamente e lasciare liberi. Avete notato che certe volte le amicizie durano di più delle relazioni amorose? Perché non c'è possesso, brama, gelosia, tutte cose che distruggono un rapporto a due. Non siamo neanche padroni del nostro corpo, che ci è stato dato in comodato d'uso per una manciata di anni. Capiremo mai la lezione?
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